Quando Gaia e Samuel sono nel cortile di casa con i loro amichetti (abbiamo la fortuna di avere una piccola mandria di bambini che ci circonda) in una giornata di sole e vengono da me dicendo “non sappiano a cosa giocare” sento la pelle d’oca che sale dalle braccia per arrivare alla base del collo. Come non sanno a cosa giocare?
Mi ritrovo così a spiegare loro dei giochi che pensavo fossero sedimentati nel DNA di ogni infante che si rispetti. I buoni e cari giochi di una volta, quando non serviva nulla per divertirsi se non uno spazio aperto per correre e saltare.
Mi sono ritrovata così a spiegare ad un gruppetto di bambini attenti (forse stupiti che esistesse un mondo oltre le app) i giochi con cui ci sbucciavamo le ginocchia noi quando eravamo piccoli.
Eccone alcuni:
Uno su tutti, nascondino, si beh nascondino lo conoscevano anche loro, ma ho elencato loro tutte le possibili varianti: Dracula, in cui bisognava bussare a turno alla schiena di chi contava e decretava chi fosse “Dracula” (lo scopo del gioco era tenerlo nascosto, perché solo lui alla fine, poteva liberare tutti). Oppure Nascondino inverso, in cui tutti contavano e uno solo si nascondeva. Vinceva chi lo trovava per primo.
C’è da dire che nascondino non val bene per le mamme apprensive (presente). Mi ritrovo, soprattutto con il più piccolo, a ripetere sempre “stai dove ti vedo”, concetto che un attimo cozza con lo scopo del nascondino.
Mosca Cieca: il gioco delle ginocchia sbucciate e dei nasi ammaccati per eccellenza, perché ci fosse mai stato qualcuno che dicesse “attento guarda che di la prendi il muretto!” o “stai puntando dritto il tronco dell’albero!” Ma alla fine quello era proprio il bello: non era un po’ di sangue a fermarci e spesso si faceva anche finta di nulla per paura che la mamma ci intercettasse per portarci a casa a medicare le ferite.
Strega comanda color, “indaco!” E tutti a domandarsi che caspita di colore fosse! “Magenta!” “Turchese!” Strega comanda color, tirava fuori la nostra parte sadica: mai che ci fosse un banale “Rosso” o “Verde” nei nostri pensieri. L’avvento di Iridella nelle nostre vite poi ha aperto scenari ancora più fantasiosi. La caratteristica di questo gioco era che alla fine non vinceva mai nessuno e si smetteva per sfinimento.
Rialzo. Il gioco che ha affinato le tecniche di patteggiamento e corruzione di un’intera generazione. Eravamo dei veri campioni a vendere per buoni i rialzi più particolari. Una collinetta, un dosso sulla strada, una gomma da masticare buttata strategicamente per terra su cui saltellare su un piede solo (per la gioia della mamma) erano rialzi d’emergenza perfetti. Finché non si è scoperto che “ma io sono rialzata sulle suole delle scarpe!” E li abbiamo smesso di giocare.
Guardie e ladri, che qualcosa avrà pur voluto dire ma le guardie non le voleva mai fare mai nessuno preferendola parte del ladro. Che avremmo dovuto capirlo già allora che qui in Italia butta proprio male!
Veleno, questo è un po’ più di nicchia (non so forse esisteva solo nel nostro cortile), perché spesso quando mi capita di nominarlo vengo guardata con occhio stranito. Ma ve ne parlo perché era di gran lunga il nostro preferito: chi prendeva si metteva al centro con le braccia divaricate e tutti gli altri prendevano un suo dito. A questo punto iniziava a dire una serie di parole con la V (Verdura, Virus, Verde, Velenino – si non esisteva ma a noi non importava-…) quando finalmente diceva veleno (a volte ci voleva così tanto che qualcuno si addormentava nell’attesa) si partiva con un classico prendi e scappa. Chi veniva preso si piazzava a gambe larghe e per venire liberati bisognava che qualche anima pia passasse sotto strisciando. Il gioco finiva quando tutti venivano imprigionati. Per motivi che potete immaginare si faceva un’unica partita che veniva interrotta dalla mamma che chiamava per la cena.
E voi? Quali sono i giochi del cuore? Quelli che avete tramandato ai vostri figli?